giovedì 5 settembre 2013

DFW, una biografia.

A volte succede che un autore sia amato più per il personaggio che  diventa che per quello che ha scritto. Con questo non intendo sostenere che non siano importanti le opere, ma che ad un certo punto, per qualche autore, la sua vita (o la sua morte) diventi più importante delle sue opere.
Ho amato moltissimo i Diari di Virginia Woolf, i suoi saggi di critica e di militanza per i diritti delle donne, ho divorato le sue biografie e ogni traccia di lei, i film che sono ispirati al suo personaggio o tratti dai suoi personaggi, ma non ho amato allo stesso modo le sue opere narrative, tranne forse per La signora Dalloway.

Quando  ho iniziato a leggere Infinite Jest, sono arrivata quasi a metà del libro e poi l'ho lasciato un po' esaurita, ma con l'idea di ritornarvi. Ho letto i racconti di La ragazza dai capelli strani e li ho trovati molto belli e più piacevoli dell'infinito romanzo. Poi ho visto una sua biografia, di D.T. Max, e mi ha incantato il titolo Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi.
Ho cominciato a leggerla e l'ho finita in pochi giorni: è una storia struggente, che parla di David Foster Wallace e dei suoi libri. Racconta la sua depressione ricorrente, ma anche le sue  teorie intorno alla scrittura, la filosofia dei suoi romanzi e le vicende che hanno ispirato le sue storie.
Rende reali il grande dolore ed il grande talento di Wallace. Mi ha fatto tornare il desiderio di leggere Infinite Jest e di completarlo con una consapevolezza diversa.
Penso che ora che ho più chiaro il disegno e la personalità di chi ha scritto questa opera mi riuscirà anche meglio portarne a termine la lettura. Sono consapevole che una parte di questa fascinazione è anche legata  al gesto del suicidio di David.
D.T.Max non avanza spiegazioni o ipotesi, racconta che DFW ha tentato varie volte di togliersi la vita e che in fondo ha sempre alternato momenti nei quali la scrittura sembrava un modo per non farsi risucchiare dal dolore, ad altri nei quali ha avuto bisogno di anestetizzarsi dal dolore con le droghe e l'alcool. Anche se aveva trovato attraverso gli AA ( ed uno psicofarmaco) un modo di gestire il dolore interno, intenso, l'inquietudine che non lo ha mai abbandonato, ed alla fine è stato più forte il pensiero di mettere un termine definitivo alla sua sofferenza, come Virginia Woolf.
Ma non è soltanto questo il fascino che ha suscitato in me la lettura della biografia, il tema convincente, direi motivante a riprendere i suoi romanzi, è stato quello della complessità della sua scrittura tra realtà e finzione, tra ultrarealtà e ironia. Il modo nel quale Wallace ha cercato di trovare uno stile che rendesse l'incredibile "troppità" della vita. Il biografo cita una sua lettera ad un amico nella quale Wallace racconta delle sue difficoltà: scrivere roba sulla vita vera è quasi impossibile, semplicemente perché è troppa!
Il sovraccarico di informazioni, di percezioni, di opinioni, di teorie e mezzi di comunicazione dell'età moderna produce spesso solo rumore nel quale è difficile estrarre i segnali. A volte leggendo Wallace si ha l'impressione che i suoi periodi lunghissimi siano in effetti solo questo rumore, dal quale ogni tanto si staglia una frase, un pensiero che risuona invece in modo diverso.

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